La Critica

Catanzaro, Palazzo della
Provincia, Franco Paletta, 1990

Mi pare ci sia, in tanta arte di oggi, qualcosa di simile al mosaico: il tentativo di estrarre da tanti frammenti, poco a poco, una figura, o meglio: la composizione che rende il tutto “intelligibile”; il tentativo di fare uscire, da ciò che in maniera casuale o povera si è assestato nell’ambiente, attraverso oculati spostamenti o accostamenti o sovrapposizioni, un senso totale o totalizzante. Mi pare questo il segreto di tanta scultura, oggi; dell’essere l’arte così spesso, oggi, scultura, sia pure secondo procedure e modalità costruttive o formative affatto differenti. E l’intuizione unificante che guida la restituzione necessaria è di continuo stimolata o contrastata dalla “pregnanza” o dall’incoerenza” del risultato. Questo “disegno” globale può valere per l’intelligenza non meno che per la volontà. D’altra parte, uno strisciante principio di indeterminazione, di cui è conseguenza Io sconfinamento territoriale e l’ambiguità semantica del produrre, credo domini lo scenario dell’arte contemporanea, cui fa da pendant una tenace volontà astrattiva. Trascorsa, infatti, l’euforia pittoricistica della fine degli anni 70 e dei primi anni 80, che a sua volta recuperava ed enfatizzava un vigoroso “bisogno di pittura” dopo il minimalismo e le esperienze povere degli anni 60, sembra che oggi l’attenzione torni a volgersi alla concettualità dell’arte e del fare arte.I corpi vuoti di Franco Paletta sono materiali astrazioni. Valorizzano la processualità linguistica del fare in quanto dare-forma; privilegiano il momento della progettazione, fino a farne l’unico contenuto espresso, fenomenologia di se stessi.Queste sculture, queste lamine sottili e sinuose, inseguite dall’artista nelle loro capricciose volute, nei loro subitanei ripiegamenti, nel loro apparire e scomparire allo sguardo, invano si cercherà di collocarle nello spazio, di ancorarle a una datità corporale, di trovarvi un limite: giacché esse, pur immerse nello spazio vi si sottraggono, lo evocano e insieme lo feriscono, lo attraversano e insieme lo disegnano: sono luoghi, libera donazione di luoghi, il farsi-corpo di luoghi. Ma come si può ammettere ciò dal momento che i prodotti della scultura sono corpi, corpi disposti in luoghi? Ebbene, sorge allora il problema: i luoghi sono innanzitutto e unicamente il risultato e la conseguenza del disporre? “Dovremmo imparare a riconoscere che le cose stesse sono i luoghi e non solo appartengono a un luogo” (Heidegger). Ecco, le impalpabili, diamantine figure di Paletta sono proprio corpi di luoghi, i cui caratteri che consistono nel cercar luoghi e formare luoghi sono destinati a restare senza nome.Non è azzardato richiamare l’oggetto minimal, suprema metafora della vuotezza pesante, dell’ambiguità propria della scultura: arte dello spazio creatrice di spazi. Le sculture di Paletta sono disegni aerei, progetti mascherati di contrade in quanto abitazioni senza confini.[ANDREA LA PORTA, docente di “Semiologia delle arti contemporanee” , presso Accademia di Belle Arti di Catanzaro, “Corpi che sono luoghi” in Catalogo, Mostra Galleria ″Idra″ , Ed. Mit, Cosenza, 1990]

Foto in alto didascalia: Catanzaro, Palazzo della Provincia, Sala Mostre “Andrea Cefaly”, Personale del maestro Franco Paletta, 1990

Cetraro (CS)

Palazzo del Trono, Personale del Maestro Franco Paletta, Scultore e Pittore del Vuoto. Sulla destra, il Critico Giorgio Di Genova, al centro Franco Paletta, sulla sinistra il rag. Franco Matta

Cetraro (CS) Palazzo del Trono, Personale del Maestro Franco Paletta, Scultore e Pittore del Vuoto. Sulla destra, il Critico Giorgio Di Genova, al centro Franco Paletta, sulla sinistra il rag. Franco Matta

Presentazione
1975, "Franco Paletta"

MICHELE AVICOLLI

Già molte volte, Paletta, scultore e pittore del vuoto, sì è incontrato con il pubblico e la critica mediante le sue opere, ne sono testimoni i numerosi attestati ricevuti.Questa è una delle tante volte che affronterà da solo, il dialogo a tu per tu con le forze-componenti il mondo dell’arte. E’ un compito difficile, ma necessario. E sicuramente riuscirà a far parlare tanto di sé, data la vasta mole di lavoro presentata.Non a caso Paletta insegna Plastica nell’Istituto Statale d’Arte di Cetraro, le sue componenti artistiche si rivelano in una grande forza a voler assimilare e a far assimilare: la natura e il mondo sociale in cui viviamo, sono temi predominanti del suo lavoro. Lavoratore instancabile, vince il primo dialogo con se stesso formandosi un ideale che riesce, attraverso la tecnica a trasformarsi in quadro lettura: dove l’osservatore è chiamato a meditare.I toni caldi di colore, bilanciati attraverso la forma equilibrata del soggetto rappresentano, le strutture zonali , e talvolta geometriche volute da Paletta si accoppiano e rivelano, quello che è stato tutto un agitarsi dell’intimo, prima di ricorrere al pennello.La pittura che oggi ci presenta Paletta, è la pittura sua di oggi, ma la volontà, l’estro comunicativo che Paletta impone a se stesso , è prerogativa del futuro: e certi che domani noi continueremo a dire, su quello che ci dirà Paletta, auguriamogli ,per oggi e per domani tanto meritato successo.[MICHELE AVICOLLI, direttore Istituto Statale d’Arte Cetraro (CS), Presentazione, in catalogo Mostra “Proloco Praia a Mare”, 30 luglio 30 agosto 1975]

Presentazioni

BRUNA CONDOLEO

Due universi paralleli e antitetici: il primo materiale, concreto e imprevedibile; il secondo invisibile, spirituale ed evocativo, eppure, secondo Franco Paletta, anch’esso reale: il vuoto .Specchio di una dicotomica concezione filosofico-estetica, la ricerca che l’artista ripropone da 25 anni nelle sue sculture spazia tra ordine e istintualità, fra rigore geometrico e immaterialità creativa, come ha acutamente individuato Giorgio Di Genova. In una società che privilegia le apparenze, annullando le differenze fra individui e fermandosi alla superficie dell’essere, la scultura di Paletta rafforza i contenuti riflessivi e filosofici di un’arte che vuole dar voce alle aspirazioni umane più intime e spirituali. Egli affronta in scultura il tema inquietante del vuoto e della sua consistenza, elaborando forme tese a liberarsi dalla tirannia della massa, a rifiutare l’inerzia della materia e la volumetria compatta. Paletta apre la suggestione dello spazio infinito evidenziando il vuoto non quale elemento opponibile alla materia, bensì come forma esistente e dialogante con il pieno. Nastri di alluminio, di acciaio e di ottone, spesso dipinti quasi ad adombrare paesaggi naturali, si allacciano nell’aria, spingendosi in alto, ripiegandosi su se stessi, incrociandosi in giochi funambolici o attorcendosi in nodi gordiani, per lasciare tra gli eleganti intrecci il vuoto. Tra le ritmiche spirali delle superfici metalliche il vuoto si fa figura, è «profondità continuativa» (Naum Gabo) che acquista forma e spessore, quanto e più del pieno.[BRUNA CONDOLEO, critica d’arte, “Presentazione” in catalogo mostra Galleria ″Le Opere″, Roma, 2-16 Aprile 2011]

Il mondo della
natura di Franco Paletta

CARMELITA BRUNETTI

Il mondo della natura, ancora riconoscibile nelle rigide strutture delle sue opere giovanili (sulla scia di un post-cubismo alla Léger), ha perduto gradualmente il legame mimetico con la realtà esteriore grazie ad un’essenzializzazione delle linee e delle traiettorie plastico-dinamiche delle superfici. Le sculture di Paletta costituiscono un fatto plastico trasfigurato dal movimento, vivono immerse in uno spazio fluido come quello einsteiniano, delimitate da una materia assottigliatasi in strutture minime che inglobano vuoti altamente significanti. Questi ultimi, veri protagonisti delle sculture, aprendosi verso lo spazio che non ha fine, stimolano ad oltrepassare i limiti imposti dalla fisicità, suggerendo alternativi percorsi prospettici e mentali, in una ininterrotta tensione visiva e psicologica.Il dialogo con un’idea di spazio rinnovato ricorda soluzioni estetiche e personalità fondamentali per la scultura del ‘900, italiana ed europea; ma, nonostante i naturali collegamenti culturali, Paletta interpreta le istanze di una spazialità aperta in modo del tutto personale. Tralasciando La continuità modulare della forma piena, concepita senza interruzione, come nel “Nastro senza fine” di Max BILL, lo scultore calabrese apre i suoi intrecci metallici ad una dimensione di spazio immateriale e metafisico, di cui il vuoto è elemento rivelatore, nucleo denso di rimandi interiori, anche contraddittori. Nei suoi lavori, infatti, il vuoto è sostanza trascendente e ascetica meditazione, ma nello stesso tempo si pone come metafora tragica di un’assenza. Generato dalle intersezioni dinamiche delle superfici e dalla tensione tra vuoti e pieni, lo spazio è per Paletta elemento estremamente duttile ed elastico: enfatizzando il vuoto, sull’esempio di una concezione squisitamente orientale, egli elabora una forma scultorea che intende riappropriarsi dell’idea di Assoluto. Rovesciato il tradizionale culto occidentale per la struttura piena, le forme cave e svuotate si pongono in alternanza dialettica con la materia spessa e dura del metallo, creando pause, evocando silenzi, aprendo varchi di mondi soprasensibili, celebrando il primato della leggerezza e di ciò che, pur non essendo tangibile, fa parte integrante della realtà dello spirito umano.[CARMELITA BRUNETTI, direttore responsabile di Magazine “Arte Contemporanea News”, 2011]

Rende (CS)
Museo del Presente, 2012 

12 al 28 luglio. 2012. Rende Museo del Presente “Corpi vuoti”. Mostra Personale del Maestro franco Paletta, Le opere esposte sono 60 e testimoniano quarant’anni di carriera del Maestro meridionale.

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L'essenzialità
nell'opera di Franco Paletta

CARMELITA BRUNETTI

L’espressione dell’Io nell’artista si caratterizza proprio attraverso le sue creazioni e l’aspetto psicologico e neuroestetico sono gli elementi indispensabili per comprenderne le opere. Oggi nella pluralità dei linguaggi artistici il nostro artista calabrese Franco Paletta, docente di Plastica Ornamentale presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si esprime attraverso la realizzazione di sculture e dipinti di forte impatto emotivo. La scultura è l’anima vibrante di tutta la sua produzione, singolare nella forma astratta e suggestiva per l’armonia raggiunta. I Corpi Vuoti degli anni ’80 e 2000 sono delle sculture dalla linea morbida, fitomorfica, lamine d’acciaio piegate che s’intrecciano e formano nodi, a volte colorati, con colore a spray per dare un effetto ottico luminoso e movimento nello spazio senza invaderlo. Scrive Ludovico Maria Ragghianti che le sue creazioni sono frutto di un Realismo nullo e di figurazione nulla, infatti, nella serie della Sindone del 1986 oltre la materia percepiamo idealmente l’essere, quell’essere che è nell’essenza delle cose. Il plasticare, il tracciar segni e l’inciderli, il pensare colore, acquisiscono nell’esperienza di Paletta un valore di scambio fisiologico e insieme emotivo tra l’artista e la genetica dell’opera, ben lontano da ormai scontate suggestioni demiurgiche, di cui egli è consapevole dopo decenni in cui la sua ars major è la scultura nella realizzazione di Corpi Vuoti. Egli utilizza il vuoto come fatto creativo e dice che il vuoto è un ente libero e autonomo che utilizzo idealmente. Il vuoto dunque non è qualcosa che ha inizio e fine in se stesso, non è un corpo, il vuoto non è un nulla separato dal resto. Il vuoto non esiste fisicamente se non nella nostra mente in forma di pura incoscienza. Nei suoi lavori raggiunge idealmente il vuoto, un vuoto diverso da quello di Yves Klein, ma che sembra provenire dallo studio di grandi artisti come Mondrian, Malevich, Duchamp. Paletta insegue l’amore per l’arte da una vita, la voglia di sperimentare forme nuove non l’ha mai abbandonato. Infatti, passano gli anni e mentre le correnti artistiche e gli stili cambiano, egli si evolve e affina sia nella tecnica che intellettualmente. Da gran disegnatore e colorista figurativo approda all’astrazione e all’informale per raggiungere lo spirituale attraverso la materia che si smaterializza e nel vuoto si rivela come il suono del silenzio. Possiamo avvicinare i lavori di Paletta a Fontana, Scarpitta, Burri per l’uso della materia, Léger per la ricerca del movimento e della leggerezza ma credo che gli unici veri ispiratori della sua poetica cioè la “Pittura Immateriale” siano proprio Yves Klein e Malevich anche se egli personalizza il suo linguaggio e l’enunciazione perde la consistenza della materia per liberarsi nello spazio senza perdere la dimensione temporale heideggeriana. Paletta si inserisce a pieno titolo nel panorama artistico contemporaneo come un artista completo con ampi consensi di critica e di pubblico. In autunno l’artista presenterà i lavori degli anni ’80 nella capitale in una mostra personale del tutto inedita.[CARMELITA BRUNETTI, direttore responsabile di “Arte Contemporanea News”, Magazine, “L’essenzialità nell’opera di Franco Paletta”, in “ Arte Contemporanea News”, magazine”, Maggio-Giugno 2010, p. 88]

Franco Paletta, presente al Museo d’Arte, Limen, di ViboValentia con la scultura: Corpo Vuoto Luminoso, 2010
Acciaio verniciato
38 x 93 x 36 cm

https://www.museolimen.it/opere/franco-paletta-corpo-vuoto-luminoso/

Il visionario: Franco Paletta
l’artista del vuoto come
nelle pellicole di Antonioni

CARMELITA BRUNETTI

Un universo non umano e non figurativo, una apoteosi astratta è l’opera di Franco Paletta. L’universo della sua creatività si dilata, si dissemina, si raffredda, ma in questa entropia vi è una felicità segreta, la felicità informale della creazione di opere scultoree, di corpi cosmici, e di dei “sottovuoti” in pittura. Quel suo punto di vista astratto è fissato nel movimento ottenuto nelle sculture che poste nello spazio diventano un tutt’uno con esso e il movimento finisce per far avvertire la sensazione del vuoto e della bellezza del nulla. Per paletta si può parlare di una vera e propria ricerca della bellezza del vuoto”, che non è il nulla, ma forse si potrebbe avvicinare al “Poco” di cui parla Walter Benjamin in Esperienza e povertà, un vuoto che è allo stesso tempo un pieno, come il Tao. Per l’artista che alla scorta della vita, esercita il proprio intuito, non vi è mutamento che non sia suscettibile di dare origine a una nuova forma e a un’emozione visiva insolita, dunque non positiva. Ma ogni cambiamento è allo stesso tempo un disordine, un principio negativo, che si spalanca su una scena del declino. Un mondo privo di trascendenza, senza un dio che verrà a fornire il senso, a separare il bene dal male: la sua regola è il movimento, la sua prima è l’ultima legge e il tempo, concepito come flusso senza termine né origine. La responsabilità propria dell’artista è di orientarsi, senza poter andare contro questa legge per la quale il tempo scorre inesorabilmente, ma utilizzandola per estrarne dei movimenti di gioia e di percezione. Contrariamente al monoteismo cristiano, per il quale il tempo è orientato verso un fine cui tutto è subordinato, l’animismo non conosce escatologia e sviluppa concezioni del tempo cicliche in cui il presente assoluto e l’eternità sono congiunti. Secondo lo scrittore giapponese Shuichi Kato: “Se il tempo non ha inizio né fine, ciascun istante può essere considerato come il centro del tempo. Il significato del presente non è definito in rapporto al futuro e al passato. Ogni istante è indipendente”. Questa concezione animista costituisce per Franco Paletta la trama della sua filosofia del tempo e del vuoto. Egli concepisce lo spazio come se fosse innervato di forze che tengono il mondo in perpetuo movimento. Così i suoi “Corpi vuoti luminosi” in quell’intrecciarsi continuo di forme astratte fanno avvertire nell’osservatore: l’istante e l’eternità, l’eternità che come la linea dell’orizzonte non smette di arretrare.La ricerca estetica di Paletta fa pensare ai film di Antonioni, quando gli esseri umani si cancellano per non lasciare sussistere che uno spazio, senza qualità, lo spazio puro, “lo spazio uguale a se stesso che si accresce o si nega”. Il campo vuoto non è vuoto: pieno di nebbia, di visi fugaci, di presenze evanescenti o di movimenti qualsiasi, rappresenta quel punto ultimo dell’essere alla fine liberato dalla negatività dei progetti, delle passioni, dell’esistenza umana. L’ “estinzione” — il nirvana — non è uno dei concetti chiave della religiosità orientale? Non è un caso che Antonioni amasse così l’Oriente. Semplificando forse troppo, non è forse questo il percorso che “insegnano” i film di Antonioni? L’uscire dal proprio egoismo, l’imparare a guardare al di fuori di se (fin da Le amiche), il saper riconoscere l’esistenza degli altri, il riuscire a guardare con gli occhi degli altri; infine, lo svanire nel nulla. L’essere capaci di “guardare il vuoto”. Così anche per Paletta, seppur in maniera diversa, guardare il vuoto diventa trascendenza, analisi psicologica. Le sue opere in acciaio, ottone, plexiglass, vetro, con linee intrecciate e poi piegate ottiene nodi, cerchi, e forme fitomorfiche, morbide mai rigide, per un forte richiamo al mondo della natura. Esse occupano lo spazio senza invaderlo anzi permettono di far ascoltare il silenzio; un silenzio che è in realtà pieno di suoni e di rumori. Nelle sue sculture c’è un equilibrio portentoso poiché esse appaiono come fatte di luce, come se la luce venisse da sotto il colore. L’effetto è assolutamente avvolgente e coinvolgente. In tutte le sculture c’è una purezza e una forza fenomenali. C’è il vetro che ti dà trasparenza e vitalità, c’è l’acciaio ad esempio che attorcigliato o piegato colorato o neutro ti dà il panico, un panico cosmico. Questa l’angoscia dell’infinito nell’astrazione della forma. La “visione” poetica del mondo in Paletta è al tempo stesso sì “fantastica”, profondamente legata alla realtà. La realtà che suggerisce la sua opera nella concezione del vuoto, è uno dei concetti-limiti che segnano i confini della conoscenza. Non sapremo mai che cos’è, ma guai se non ci fosse, saremo perduti anche noi. Non potremo mai raggiungerla né toccarla, è sempre altrove rispetto a dove la cerchiamo. Come il sole, come la giungla o come la natura, essa si chiude in se stessa e si allontana nel suo stesso darsi, ma ignorarla sarebbe come non vivere. A rendere ancora più innovativa la sua ricerca artistica sono le intriganti sculture di grandi dimensioni che si fondono nell’ambiente e permettono di far entrare delicatamente dentro l’opera la gente e le culture diverse. Le sue creazioni dovrebbero farsi viatico intelligibile di comunicazione fra gli uomini, non nell’ingenuo senso romantico che vede l’arte come universale, ma in quello di dar corpo a una forma plastica che accolga in sé, come forma mentis, ancor prima che tecnicamente, il senso della molteplicità, il rispetto dell’elemento contrario, la con-vivenza con le esigenze di tutti, per realizzare un arte che più che tempo è spazio, più che storia è solidale alle culture del mondo. Il linguaggio delle sue creazioni è globale perché si basa sul principio filosofico del vuoto e grazie alla sua ricerca iniziata già negli anni ’60, “dell’Astrazione Immateriale”, egli è sempre più aperto a incontrare le diverse realtà politiche economiche e sociali e lanciare come un messia il messaggio non dell’omologazione, ma della pace e dell’unione fra i popoli. Ecco, allora, che le sue enormi sculture dovrebbero essere situate in diverse aree urbane di città metropolitane come Roma e Milano, per farle vivere in mezzo alla gente, come se viaggiassero fra le vie della città, e diventassero un gentiluomo o flâneur- l’artista moderno – per dirla con Baudelaire, pronte a scoprire e far scoprire il mondo e conoscere le diverse realtà culturali. Attraverso la sensibilità di un artista come Franco Paletta, influenzato dalla filosofia occidentale e orientale, si verifica dunque quello slittamento di senso che vede il vuoto non più come semplice negazione, ma come origine di infinite possibilità. In questo senso, il ruolo del vuoto diventa fondamentale per la sua scultura poiché la modellazione della massa nello spazio si trasforma in un’interpretazione dell’essenza dello spazio, in un dialogo tra pieno e vuoto dove il primo non è certamente più importante del secondo.[CARMELITA BRUNETTI, direttore responsabile di Magazine “Arte Contemporanea News”, Il Visionario flâneur: Franco Paletta l’Artista del vuoto, in” Arte contemporanea News” – Anno VIII, n. 33 Febbraio- Marzo 2013; Cover Franco Paletta]

Franco Paletta:
Astrazione Immateriale

CARMELITA BRUNETTI

L’opera di Franco Paletta si colloca nell’area dell’astrazione meglio definita dall’artista “Astrazione Immateriale”. Questo percorso artistico è stato intrapreso da Paletta, già a partire dagli anni ’70 quando andava alla ricerca di forme inusuali e coinvolgenti, tali da esprimere i sentimenti più intimi e segreti della spiritualità umana. Egli, innamorato del bianco di Angelo Savelli, dopo essere stato nello suo studio a New York, sulla strada del ritorno in Italia è consapevole del fatto che avrebbe dovuto realizzare opere basate sulla ricerca filosofica orientale e occidentali del vuoto, per entrare nell’anima delle cose e dell’essere umano. Paletta, si avvia così verso la sperimentazione astratta e lo studio di forme fitomorfiche ispirate alla bellezza della natura e dalla cosmologia. Egli interpreta nel gioco di intrecci e nodi infiniti, il movimento, fonte di vitalità e energia nel senso aristotelico, pensiero filosofico legato al suo studio della modernità. La modernità diventa per l’autore punto fondamentale della sua ricerca , adattamento e contrasto tra filosofia e assolutizzazione del mercato. Nelle sue opere si condensa lo spirito del capitalismo contestualizzato nell’Immaterialità. Sulle orme di Hegel e di Marx, il lavoro di Paletta si va delineando in una fenomenologia dello spirito in cui l’arte resta il luogo della possibile resistenza al nichilismo. I “ Corpi vuoti illuminati” sia in acciaio sia in plexiglas attraggono l’osservatore per l’effetto di infinito che l’opera genera e per quel senso di trascendenza che spinge l’osservatore a guardare oltre lo spazio ben definito . Nelle sue sculture non c’è il contrasto tra pieni e vuoti , ma un gioco armonioso di linee intrecciate che convergono nel caotico mondo di forme attorcigliate per lasciare percepire la bellezza dell’infinito nell’astrazione della forma. Il vuoto diventa pieno ,il pieno, diventa vuoto, per perdersi in una rivelazione sinestetica e empirica . Ci si lascia affascinare dalla figurazione , ma ci rapisce l’astrazione che diventa immateriale e addirittura trascendentale. Nel suo atelier non incontriamo sono solo i “ Corpi vuoti illuminati” a illuminare il nostro orizzonte percettivo, ma anche i “sottovuoto” che diventano anch’essi rivelatori di messaggi pronti a contestare la globalizzazione dell’omologazione . un “sottovuoto”, dunque per conservare i valori e l’identità dei popoli . A quanti siano interessati all’opera di Paletta non resta che visitare la prossima mostra personale in primavera a Roma .[CARMELITA BRUNETTI, direttore responsabile di Magazine “Arte Contemporanea News”, Franco Paletta: astrazione immateriale, in “Juliet” art magazine, n. 161, Febbraio –Marzo 2013]

Franco Paletta

ARIANNA FANTUZZI

Franco Paletta è nato nell’antichissimo comune di Cetraro, in Calabria ed ha alle spalle una lunga ed apprezzata carriera artistica. Diplomatosi al Liceo artistico, ha conseguito la Laurea in Scultura all’Accademia di Belle Arti e la Laurea in Arte al DAMS dell’Università di Cosenza. Ha insegnato in Istituti d’Arte e Licei artistici, ed è attualmente docente di Plastica Ornamentale all’Accademia di Belle Arti di Roma. La sua produzione artistica si basa dunque su una conoscenza approfondita della cultura artistica occidentale, ma è arricchita anche dalla profonda passione che egli nutre verso le filosofie orientali dello Yoga e dello Zen. L’artista ha iniziato a dipingere giovanissimo, dedicandosi ad una produzione figurativa di stampo impressionista, che ha però abbandonato intorno al 1975 per rivolgersi ad una “pittura tecnologica” in cui animali, uomini e paesaggi sembrano trasformare la loro materia costitutiva in metallo. Questa produzione, che occuperà l’artista fino ai primi anni Ottanta, nasce dalla sua profonda coscienza sociale, sconvolta dalla questione dell’inquinamento globale che iniziava ad emergere prepotentemente proprio in quegli anni. Attraverso i suoi dipinti, Franco Paletta intendeva da un lato denunciare la situazione di degrado ambientale, dall’altro sensibilizzare il pubblico fruitore ad una questione di interesse pubblico. La luce fredda ed innaturale che colpisce la superficie di questi paesaggi metallici viene a coincidere, nel pensiero dell’artista, con la luce divina che illumina la mente delle persone; la stessa luce viene riproposta, a distanza di trent’anni, nei suoi Corpi vuoti luminosi. L’attività pittorica di Paletta è stata affiancata fin dagli inizi dalla scultura, che è giunta nel tempo ad assumere un ruolo preponderante. A partire dalla metà degli anni Ottanta, il figurativismo iniziale delle sue sculture subisce un radicale cambiamento: l’artista abbandona i materiali tradizionali e si applica nel creare figure tridimensionali realizzate attorcigliando e piegando fili di ferro. Queste sculture, chiamate Corpi vuoti, si muovono delicatamente nello spazio guidati da un’unica, sottile linea che si arrotola su se stessa prima di lanciarsi verso l’alto, con una pura elevazione metafisica. I Corpi vuoti modificano nel tempo le proprie forme e si arricchiscono dell’utilizzo di nuovi materiali come, ad esempio, il legno, l’ottone e il metallo. Le iniziali sottilissime forme acquistano, anche in virtù dei nuovi materiali, uno spessore maggiore, ma si distinguono comunque per l’impressione di leggerezza e di rifiuto del peso delle masse, che le rende capaci di trasmettere allo stesso tempo una tridimensionalità spaziale ed un’immaterialità di fondo. I ″Corpi″ si protendono verso l’alto come la statua del dio Mercurio di Benvenuto Cellini, uno degli artisti preferiti da Paletta; posto in bilico su un piede, con l’indice puntato verso il cielo, Mercurio si fa ponte tra terra e cielo, anche in virtù della sua funzione di messaggero. L’artista finalizza le sue sculture a un voler trasmettere i messaggi della sua interiorità. Depurando le forme, egli mette in evidenza l’assenza della materia, il vuoto creato dall’intrecciarsi delle linee nello spazio; tale vuoto è il vero soggetto delle sue opere e ne diventa un elemento strutturale, al pari dei materiali utilizzati per realizzare le opere.La ricerca sul vuoto e sulla definizione dei suoi significati è per l’artista una vera e propria scelta estetica, che lo conduce ad indagare nella cultura e nelle filosofie occidentali ed orientali. Se in Occidente il vuoto rappresenta il nulla, lo spazio neutro da colmare, l’invisibile, l’irrappresentabile ed il trascendente, nella culture orientali legate al buddhismo zen esso diventa il non-essere senza il quale l’essere non può sussistere. Nelle filosofie orientali, dunque, non solo il vuoto esiste, ma è funzione costitutiva dell’essere e sua parte integrante. L’elaborazione e l’interiorizzazione di questi concetti costituisce la base teorica delle sculture dell’artista, nelle quali non è solo la materia ad essere modellata, ma anche il vuoto che le riempie e le circonda. L’assenza di materia viene quindi utilizzata per esternare ciò che è generalmente inesprimibile poiché invisibile ed impalpabile, come ad esempio la complessità delle sensazioni e delle emozioni. Questo substrato teorico forma il nucleo della corrente artistica fondata da Paletta, denominata “Astrazione immateriale” in quanto l’artista astrae da sé stesso, materializza e traspone in pittura e scultura delle sensazioni che sono impercettibili, immateriali appunto. L’artista si interessa anche alla sperimentazione di nuovi materiali con cui costruire le avvolgenti forme delle sue opere e, oltre ai metalli e al legno, utilizza lamine e piattine di acciaio, plexiglas, bronzo, alluminio, ottone ed anche, per le sculture più grandi, profilati di acciaio. Questi materiali e la loro lavorazione acquistano un particolare significato dal momento che Paletta, per realizzare le sue opere, si serve di macchine industriali, piegatrici e compressori che si frappongono tra lui e la materia da modellare, determinando una distanza costante durante il processo di creazione. Questa distanza tra artista e opera è il risultato di una “smaterializzazione” progressiva delle forme, sperimentata a partire dal dopoguerra e portata avanti da artisti come Andy Warhol, Donald Judd e Yves Klein, ai quali Paletta si sente artisticamente e spiritualmente vicino; in particolare, l’impersonalità dei materiali e l’artificialità dei colori lo avvicinano alle ricerche di Klein, cultore anch’esso dalle filosofie orientali. A partire dal 2007, Paletta inizia a ragionare sul ruolo che la luce ha assunto nel suo lavoro e realizza una nuova serie di opere, chiamate Corpi vuoti luminosi. Con questa serie di sculture egli ottiene effetti di luminosità rifrangente tramite la lucidatura e colorazione di sottili lamine di plexiglas trasparente, acciaio ed ottone.Queste opere, più che solide statue, sembrano disegni leggeri realizzati nell’aria e poi materializzatesi all’improvviso in forme sinuose. Il Corpo vuoto luminoso esposto nella mostra si distingue dalle altre sculture della serie per il colore bianco perla che, riflettendo la luce, illumina l’interno e l’esterno del nastro che si avvolge su se stesso, inventando la sagoma del suo stesso corpo. Nelle opere di Paletta ogni forma evoca significati diversi: in questo caso, l’osservatore è catturato dalla purezza del colore e dalla dinamica che muove le singole spire della fascia d’acciaio. Il titolo di questa serie di opere non è casuale e trasmette una serie di significati; esso e infatti composto da tre parole che riassumono i tre concetti alla base del lavoro dell’artista: ”corpo”, in quanto le sculture sono composte di materia e sono masse ed insiemi, “vuoto”, che nel pensiero dell’artista è inteso come principio di creazione e “luminoso”, che è un concetto su cui vale la pena soffermarsi.. La luce che colpisce i dipinti e le sculture di Paletta è la fonte primaria di vita e di nutrimento per l’uomo, per gli animali e per le piante, è la fiamma che illumina il nostro sentiero e ci permette di procede nella vita seguendo la giusta direzione ed è, soprattutto, una manifestazione divina che, propagandosi direttamente dal vuoto dell’universo, giunge sulla terra per darci conforto. I colpi di luce che si moltiplicano e si rincorrono tra le spirali delle sculture dell’artista assumono, dunque, un significato spirituale e trascendente e variano di continuo, a seconda del punto di vista che assumiamo per osservare l’opera. Nel caso del Corpo vuoto luminoso color bianco perla, l’impressione di luminosità e di immaterialità è accentuata dalla tonalità della vernice, che conferisce all’opera un aspetto di levità, eleganza ed armonia. L’osservatore sembra specchiarsi nel vuoto creato dalle curve dell’acciaio e ritrovarvi la sua essenza, in un confronto attivo con uno spazio che è libero ed autonomo, uno spazio al di là delle regole fisiche che governano la vita quotidiana. Queste sculture misteriche sono luoghi di rivelazione spirituale sia per l’artista che le crea, sia per i fruitori che le osservano e vi interagiscono. Esse rappresentano una delle occasioni, ormai rare, di sperimentare un’emotività pura, scevra dai substrati ideologici e materialistici dell’epoca contemporanea. Franco Paletta si conferma quindi, ancora una volta, il grande artista attento ai bisogni della propria epoca, che interpreta nutrendola di una spiritualità e preservandola.[ARIANNA FANTUZZI, Franco Paletta in “Last Paradise”, Esposizione Triennale di arti visive a Roma 2014, a cura di Daniele Radini Tedeschi, Catalogo Mondadori Editore, Milano 2014, pp. 92-94]

Paletta Scultore

GIANFRANCO LABROSCIANO

Se l’arte è pensiero, e un destino di pensiero guida il procedere delle forme nel tentativo di liberare i contenuti di una nuova artisticità, l’opera di Franco Paletta segue l’evoluzione di un destino irreversibile quello dell’arte contemporanea che tradisce un’irresistibile tendenza a superarsi nella dialettica di una dinamica, la scultura, che di per sé tende alla completezza e all’assoluto; ed è il luogo in cui l’artista segna il passaggio dalla sua essenza intuitiva alla sua essenza filosofica. È una scultura che si libera nello spazio in virtù di un principio che la muove e di precise regole interne che consentono il metamorfosarsi di una vaga forma organica in un’altra, che evoca diversi significati e simboli. Si tratta di una forma modellata su piani e scansioni ritmiche incentrate sul semplice movimento di una linea, sinuosa e di sottile eleganza che, in una sorta di andante imprendibile e leggero, compie numerose ellissi prima di liberarsi verso l’atto in un rapido e raro verticalismo. L’immagine, alla fine, risulta solitaria, ordinata e unica. Animato da un’esigenza di essenzialità, l’artista depura la forma fino a toccare vertici di assoluta spiritualità. Si osservi la sua scultura dal basso verso l’alto. È una costruzione lucida, tirata su con una linea che ha in sé il principio del movimento e della spinta; sicché si eleva con una forza vitale simile a quella delle cattedrali gotiche, nelle quali pure una linea, semplice e verticale, è il principio informatore e conoscitivo. Cos’altro può essere questo interno ritmo, questo scalare di piani, se non l’esigenza tutta intima dell’artista di superarsi e di tendere verso un’ardita spiritualità? È una scultura in cui la materia del ferro, di per sé difficile da trattare, liscia e levigata, sembra essere dimenticata a tutto vantaggio di un’energia che irrorandola dal di dentro la illumina e la distribuisce nello spazio in una zona neutra nella quale la plasticità dei volumi, la vigorosità del segno e gli sbattimenti dell’ombra e della luce sono elementi, per così dire, secondari rispetto alla forza che la alimenta. Costitutivo dell’opera è invece proprio la sottile assenza della materia, che affida al rigore e alla tensione interna, e dunque alla squisita raffinatezza formale, il compito di sostituire la retorica dell’impianto puramente teatrale. Qualcosa che fa si che l’opera non venga ad esistere come un prodotto confezionato, e che si risolve, in definitiva, nel linguaggio interno alla stessa costituzione materiale dell’opera. Un linguaggio volto ad un’esuberanza ritmica e propulsiva che risolve le peculiarità del ferro, il peso e la massa, in un immaginario che aspira a una sorta d’integrazione panica, universale. Più che una forma, allora, la scultura – e il disegno – di Franco Paletta sembra indicare una varietà di forme possibili in una molteplicità di elementi strutturali. E’ questa una rara lezione di avanguardia. C’è da sottolineare, inoltre, la particolare funzione che la scultura di Paletta assume dal punto di vista propriamente architettonico e urbanistico, in relazione alle sue capacità d’integrazione del disorganizzato tessuto urbano contemporaneo. Dall’ambiente interno agli spazi aperti le strutture di ferro forgiate dall’artista, sbalzate o saldate, tenute insieme da lamine sottili che non aggrediscono lo spazio, ma l’avvolgono simbolicamente in un rapporto di equilibrio simbiotico con il caos determinato dal plasmarsi della nuova realtà urbana, realizzano con tutta evidenza una chiara sintesi ambientale. In questo caso i simboli creati dalla fantasia e dall’immaginario dell’artista forniscono modelli di ottimismo urbano e di altruismo collettivo che riequilibrano il difficile rapporto dell’individuo con l’ambiente cittadino. Possono essere suscettibili, appunto per il ritmo che le genera, per l’istintività e l’immediatezza del segno e per le ardite soluzioni architettoniche, di creare un lungo specifico, di identità riconoscibile, capace di segnare in maniera inequivocabile un dato quartiere o ambiente urbano. Nel ruolo che riveste il nuovo concetto di urbanistica e di interno, secondo il quale l’uomo non è fuori, ma al centro della città, questa scultura, semplice e ordinata, è una rinnovata proposta di provocazione e di sfida intesa a recuperare i valori essenziali che l’uomo contemporaneo ha smarrito. In questo senso, e per cogliere definitivamente la genesi e lo sviluppo di quest’arte, s’inserisce il discorso, non secondario, tra la forma raggiunta dall’artista e la sua individualità. Un paziente lavoro, umile e silenzioso, che lo ha condotto, attraverso lo studio e l’approfondimento delle varie tecniche del disegno, della grafica, della pittura e della scultura, ad un’elaborazione sempre originale dei momenti e dei passaggi salienti del percorso dell’arte contemporanea filtrati da un vissuto quotidiano di spiccate sensibilità e caratterizzato da un notevole sentimento dell’esistenza. La comprensione della sua opera è tutta qui. Nella dinamica dialettica di una vicenda esistenziale che affida alla semplicità di un lavoro costante, quotidiano, di scavo e di sintesi, il tentativo di pervenire ad una forma esclusiva assolutamente libera, unitaria e artistica. Il che, a ben pensare, ci riguarda direttamente. [GIANFRANCO LABROSCIANO, critico d’arte, Paletta sculture, in catalogo mostra Galleria “Idra” (CS), Ed. Stem, Cosenza, 1990]

La scultura immateriale
come soffio di vita

GABRIELE SIMONGINI

Ci sono scultori che aggrediscono e conquistano lo spazio con irruenza plastica, occupandolo a livello anche monumentale, mentre altri delineano un continuum quasi impalpabile fra il proprio battito interiore e lo spazio esterno disegnando con la materia nelle pieghe dell’aria, danzando nel vuoto e visualizzandolo attraverso l’abbraccio di forme aeree, leggere, scattanti. Ecco, Franco Paletta è ben degno di figurare nel novero di questo secondo gruppo, quello degli scultori immateriali, definizione che è già di per sé un ossimoro ma che ben si adatta a chi fugge la monumentalità, la pesantezza e l’assertività dogmatica. E dato che la vera arte nasce sempre dall’emulazione, si può individuare, mutatis mutandis, l’opera che ha innescato la miccia dell’immaginazione immateriale di Paletta nel Mercurio volante del Giambologna, saettante messaggero divino con l’indice proteso verso il cielo per indicare l’origine divina del sapere: ecco l’immagine del volo, della leggerezza, direi quasi della forma che si trasforma in vento e sta per smaterializzarsi come prodigioso segno nello spazio. Per liberarsi però dal rischio del virtuosismo manieristico fine a se stesso, Franco Paletta da un punto di vista speculativo ha purificato quest’intuizione immaginifica tornando alle fonti primarie di una forma nata dal “principio della necessita interiore” e quindi al Kandinskij de Lo spirituale nell’arte, il cui drammatico lirismo ancora romantico è stato poi messo in cortocircuito dall’artista calabrese con una riflessione sul costruttivismo di Tatlin, Pevsner e Gabo ma soprattutto sulla musicale modulazione plastica di Fausto Melotti: raffinato “ingegnere dell’immaginazione”, non a caso è stato l’inventore di una tendenza scultorea italiana fondata sull’antimonumentalità, sull’ironia, sulla leggerezza, su una classicità rinnovata in senso contemporaneo, sul connubio fra misura ritmica e divagazione poetica. In fin dei conti Franco Paletta potrebbe ben condividere questa sua celebre affermazione: «L’arte è stato d’animo angelico, geometrico». E in ogni caso la ricerca dello scultore calabrese appartiene ad una linea italiana dell’astrattismo nata da una vocazione contemplativa e fondata su una forma sollecitata dai sensi o da flussi pacatamente emotivi e mai esclusivamente dominata dal rigore razionale. È, quindi, un astrattismo lucidamente sensibile, mai sentimentale o glacialmente concettuale. Ecco, per sommi capi, il nodo centrale del percorso teorico di Paletta che ha poi portato in particolare ai pregevoli esiti dei Corpi vuoti, sculture in alluminio, acciaio oppure ottone in cui l’artista disegna e attraversa lo spazio con esili linee d’energia oppure con nastri colorati che si squadernano nell’aria e nella luce come tracce dinamiche di moti del corpo ma soprattutto di sommovimenti dell’anima, talvolta inquieti, frementi ma sempre ricondotti alle rigorose ragioni della forma. Così alcune sculture di Paletta, come Corpo vuoto 1 (1986) o Corpo vuoto 17 e Corpo vuoto 18 (2011), solcano empaticamente lo spazio simili ad un lampo, nell’arduo tentativo di cogliere magari per un attimo un soffio di vita, quello che i greci e i latini chiamavano pneuma. Altrove, quando la struttura plastica si articola in nastri che danzano in molteplici direzioni, siamo di fronte a tracce di movimenti coreografici ridotti all’essenziale e lasciati da corpi ormai assenti. C’è magari un lontano eco anche del concretismo di Max Bill e della sua riflessione sull’anello di Moebius, ma a Paletta non è connaturato lo spirito dell’artista come rigoroso educatore dell’esperienza visiva, tipico del grande svizzero, quanto piuttosto un’attitudine empatica, intuitiva, lirica. Il suo tempo interiore aspira all’apertura spirituale tramite la forma. E Paletta tenta di concepire le proprie opere come frammenti d’assoluto e d’infinito che sono tanto più umilmente spirituali quanto più infinitesimali e vicini al vuoto e al nulla, un nulla che però dice tanto e rapisce: “Infra le cose grandi -ha scritto Leonardo da Vinci- che tra noi si trovano l’essere del nulla e grandissimo”. In sostanza la ricerca scultorea di Paletta rifugge la razionalità cartesiana e seriale del modulo invariabile per privilegiare invece il guizzo, lo scatto, l’asimmetria dinamica e comunque tutte le strategie compositive che evocano anche i percorsi e gli andamenti di una vitalità organica archetipica, libera da qualsiasi riferimento naturalistico e rappresentativo. Fra le sue sculture più rilevanti spicca senza dubbio Corpo vuoto/Fiamma (2011, ottone colorato) che riassume le qualità della ricerca plastica di Paletta, la leggera essenzialità, un lirico impulso sensuale, una vocazione all’ascesa spirituale, l’estro formale e cromatico. E il motivo della fiamma, «immagine di costanza d’una forma globale esteriore, malgrado l’incessante agitazione interna» (come ha scritto Massimo Piattelli Palmarini), è emblematico del rapporto fra stabilità e dinamismo che innerva tutto il percorso del nostro artista. Nonostante le dimensioni relativamente ridotte, le sue sculture rivelano senza dubbio una potenzialità di espansione a livello urbanistico che dovrebbe indurre Paletta a misurarsi perlomeno da un punto di vista progettuale con l’ambiziosa sfida della Public Art, capace di penetrare nel tessuto sociale e nella struttura pulsante delle metropoli ma ancora troppo sottovalutata in Italia. [GABRIELE SIMONGINI, docente di Storia dell’Arte Contemporanea, presso Accademia di Belle Arti di Roma, La scultura immateriale come soffio di vita, in “Arte contemporanea n. 28, Giugno- Luglio 2011,pp. 44- 45

La sostanza del vuoto

CARMELITA BRUNETTI

Vedere il mondo in un granello di sabbia e il paradiso in un fiore selvatico, tenere l’infinito nel palmo della mano, e l’eternità in un’ora. WILLIAM BLAKE

La lettura delle opere scultoree di Franco Paletta si presenta come un esercizio semplice e diretto, tanto queste dichiarano con leggerezza strutturale la loro presenza plastica nell’occupazione dello spazio circostante. Siano esse opere di grande dimensione o di piccolo formato sono tutte tese a dare presenza all’assenza mentre inseguono le tracce di un misterioso conflitto tra spirito e materia. Le sue sculture sono fortemente dichiarative della loro presenza, compiute con chiarezza nelle loro intenzioni. Tuttavia, un’analisi immediatamente successiva, relativa alta loro ragione d’esistenza per l’artista, apre scenari incrociati più complessi che vanno esaminati per gradi successivi. Come prima cosa credo sia corretto affermare che le opere di Paletta obbediscono alla fantasia creativa dell’artista, nel senso che il loro autore si concede una libertà assoluta, infatti egli non guarda alle convenzioni critiche o di mercato. Franco Paletta è un artista artefice assoluto del suo mondo, regista unico e interprete della sua recita. Egli volge lo sguardo ai grandi maestri Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Castellani e Yves Kline, i quali hanno saputo idealmente sconfinare nell’immateriale, per sviluppare un’interpretazione personale del vuoto in un’analisi psicologica dell’Io incorporeo della materia e dell’architettura del vuoto nel rapporto opera-ambiente. Le sue creazioni fissano i termini dell’immateriale nella proiezione di linee geometriche che s’incontrano e creano nodi o cerchi che penetrano lo spazio senza invaderlo offrendo punti di riferimento, per poter giungere a intravedere il vuoto, attraverso angolazioni diverse. IL fluire della linea, ritmata da libere variazioni e giustificata da una perfetta stabilita, assume un particolare peso meditativo, lo spazio flessibile aperto all’eternità, in un continuo scambio tra metallo e vuoto. La sua opera sfida la vertigine dell’immateriale e lascia pensare a una nuova dimensione mentale attraverso la penetrazione della luce nelle linee di metallo (alluminio, acciaio, ottone, ferro) che s’incontrano in un gioco astratto e creano forme di riflusso cubista, irregolari e intriganti: un modo per sfidare la barriera dell’invisibile. La verità morale del nostro artista è la verità percettiva dell’osservatore che inizia il suo viaggio nello zen come consapevolezza e conoscenza delle cose. Intitolando La mostra La sostanza del vuoto si avvia l’osservatore verso una concezione taoista della pace dell’anima che conduce al vuoto come totalità di spirito e materia . Le opere in mostra, realizzate da Paletta fra il 2010 e il 2011, si liberano da qualsiasi vincolo legato alla forma, o allo spazio dell’opera per sfaccettare ulteriormente il concetto di vuoto. Anche le opere di piccole dimensioni, eseguite già verso la fine degli anni ’80, si aprono alla profondità del cosmo superando i limiti convenzionali della scultura con corpi sferoidali che rimandano a una dimensione metafisica: assi-stiamo al progressivo dissolversi del concetto di fisicità, in vista di una [CARMELITA BRUNETTI, direttore responsabile di Magazine “Arte Contemporanea News”, La sostanza del vuoto, in Catalogo Mostra Galleria ″Le Opere″, Roma 2011]

Tra materia e spirito

MASSIMO RIPOSATI

Non c’ è Materia senza Spirito

[J. W. GOETHE]

Si può tentare di descrivere, con i mezzi dell’Arte, quanto non abbiamo mai conosciuto, indagando con quelle sottili attitudini a forme para preveggenti che spesso gli artisti azionano di fronte al misterioso, attingendo alle più profonde qualità sensoriali, di fronte all’infinitamente grande ed all’infinitamente piccolo. La materia è stata dipinta, scolpita, resa in musica e narrata, è stata nel tempo vissuta come pietra/fondo per primitivi graffiti, minerali e vegetali triturati sono divenuti elementi base per la preparazione dei pigmenti per i colori della pittura, nel marmo si sono rese vere e calde le inquietudini, le aspirazioni, le passioni, fino a descrivere il senso del sacro e l’amore profano, i sentimenti più complessi e le parafrasi della quotidianità e spesso della contemporaneità. Arte e materia si sono intrecciate, a volte fondendosi ed altre volte ferendosi, stimolandosi reciprocamente, e di queste fusioni si compone l’intero immaginario del visibile nell’arte, perché la materia della pittura è la stessa della scultura perché è la materia dell’arte che è la materia del non dicibile con la parola: e, come suggerisce Wittgenstein «su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». Ma alcuni anni fa Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni, in una esemplare esposizione alle Scuderie del Quirinale dissero e mostrarono, insieme ed intorno ad Alberto Burri, ai suoi sacchi, alle combustioni, ai cretti e fino ai cellotex una serie di opere, da Fautrier a Rauschenberg, da Franz Kline a Jasper Johns, da Beuys Manzoni, da Kounellis a Pistoletto dove la materia, in un processo innovativo sotto l’aspetto linguistico diveniva il motore primo del rinnovamento nell’arte del dopoguerra. Ma l’arte spesso sfugge alle sue stesse regole, si rinnega ed insieme si rinnova, affronta i territori inesplorati della creazione con audacia, con consapevole incoscienza ed inconsapevole coscienza: Franco Paletta, in un ciclo di opere alle quali lavora da ormai più di trenta anni, penetra le sottili trame della materia ed attraverso strumenti primari, principalmente fili e strisce metalliche, alcune volte monocrome ma più spesso colorate, descrive e realizza nodi e fasce con volute complesse per imprigionare il vuoto, circondandolo, accarezzandolo, dunque assumendolo a valore. Se la materia si può misurare, pesare e considerarne scientificamente la struttura, il vuoto di Paletta ci lascia nell’incanto della assenza di proporzioni assolute: le opere che vediamo sono se stesse ma anche, a mio parere, pro getti o bozzetti di altre opere che si muovono libere nello spazio e che abitano nella nostra immaginazione, in una capacità di espansione che corrisponde al nostro desiderio. Pur se avvicinabili percettivamente al suo lavoro Paletta rifugge dalla ormai conclamata efficacia emozionale delle fasce di Mobius, da quella mezza rotazione del nastro che crea un apparente moto perpetuo, che Escher ha poeticamente rappresentato come infinito percorso per le sue formiche e che fa dire al grande artista svizzero Max Bill, autore nel 1951 della scultura Nastro senza fine, a proposito dei Nastri «sono convinto che la loro efficacia stia in parte nel loro valore simbolico; essi sono modelli per la riflessione e la contemplazione» Paletta ci consegna con la sua opera un modello di vuoto da abitare, un teatro sensibile per rappresentare le esigenze dello spirito, e non possiamo non concordare con Gillo Dorfles quando ci ricorda: «Il troppo, pieno, il troppo congestionato, delle nostre città, delle nostre spiagge, delle nostre case, è certamente una delle tare della contemporaneità, come ho cercato di illustrare nel mio saggio Horror pieni nella speranza che un improbabile lettore ne tenga conto. Ma altrettanto cruciale, è il fitto di sottolineare l’ importanza del vuoto. Vuoto, non come ″assenza″ di alcunché, ma come lacuna da colmare; come entità a se stante, matrice di molte ideazioni, sensazioni, invenzioni». Paletta interviene, soprattutto negli ultimi anni, per dare ‘sostanza a questo pensiero e aspira il suo vuoto dentro se stesso in un processo di intellettuale digestione del già creato, nega gli interspazi che separano l’opera dall’ambiente, isolandola nella dimensione del sottovuoto. Questa operazione protegge la materia e la isola in un limbo permanente, ne lascia intravvedere le forme ed i volumi ma nega l’indagine fisica e ci obbliga alla percezione sensoriale, sensibile e soprasensibile. Nasce così la serie dei Corpi sotto vuoto, immagini sindoniche che evocano senza descrivere, o alcune volte descrivono il mistero. Paletta scolpisce un pensiero, una esigenza di rappresentare in maniera minimale una energia interiore che ha educato con profonde letture e studi in una dimensione filosofica steineriana, separando l’anima e lo spirito dal corpo, individuandone le caratteristiche, liberando e riscattando la materia fisica alla altezza di quella spirituale: queste due dimensioni si ricongiungono nel suo essere uomo/artista e le sue opere ne sono il documento. [MASSIMO RIPOSATI, direttore responsabile di “ Carte segrete”, Franco Paletta tra materia e spirito, in “Arte contemporanea”, Anno VI numero 28 Giugno-Luglio 2011, Fast Editore s.r.l. Acquaviva Picena, (AP) 2011, pp. 46-47]

Franco Paletta
la delicatezza del bianco e l’imponenza della scultura

CARMELITA BRUNETTI

Nel presentare le opere di Franco Paletta in un saggio , viene voglia di dire che cos’è l’arte per noi oggi. Da anni durante i miei interventi critici argomento sulla diversità dei linguaggi artistici contemporanei. Ma che cosa è oggi l’arte? A questa domanda cercherò di rispondere introducendovi nell’universo creativo del nostro Paletta. L’arte si pone sempre a cavallo del tempo passato e del futuro, in tutte le espressioni , interpreta gli animi di un popolo in sua continua evoluzione e trasformazione. A comprendere meglio la realtà attuale, di una società tecnocratica e multimediale, stravolgendone spesso i sistemi, è proprio l’artista che mescola con molta facilità i diversi linguaggi. Spesso a rimettere in campo l’esperienza artistica tradizionale senza dimenticare l’innovazione sono i giovani che spinti dal desiderio di conservare le tecniche tradizionali custodiscono le alchimie degli antichi maestri. Nel caso di Franco Paletta la tecnologia invece sembra davvero lasciare il posto al fare manuale e a far prevalere l’anima dell’antico maestro che sperimenta nuove forme . Egli piega e modella lastre di metallo per ottenere sculture tese fra “fitomorfismo” e “meccanomorfismo”. Le sue opere di diverse dimensioni, alcune sono imponenti e occupano lo spazio come se volessero penetrarlo per sperimentare il senso ideologico e filosofico del vuoto. Il suo discorso artistico è fatto di segni che riducono al primitivismo e per certi aspetti al movimento tipico dei futuristi nel dinamismo degli intrecci di metallo o di plexiglas . Paletta elabora astrazioni concettuali attraverso realizzazioni di sculture definite “ corpi vuoti luminosi”, e grazie alla creatività si fa portatore di senso e di significato in un al di là comunicazione pura e semplice.In una nostra conversazione, in Accademia di Belle Arti a Roma, mentre parliamo delle sue opere, afferma con determinazione: “ il mio lavoro è Astrazione Immateriale perché riporto in arte le mie sensazioni ovvero la mia spiritualità”, è dunque, la scelta del colore bianco ad assumere, in quest’ultima collezione, un valore simbolico –sacrale. Il bianco incarna con l’immaterialità qualcosa di mistico, o di un sapere non ancora del tutto esplicitato. L’arte ha la funzione di mettere ordine nel magma caotico del reale e di articolare l’esistenza. Così, il nostro, armoniosamente orchestra astrazioni per entrare nell’anima dell’essere umano. La sua opera serve anche a mettere in discussione, insieme al filosofo e all’uomo qualunque, i propri punti di vista e di osservazione del mondo. Ha abbandonato il romanticismo e l’idealismo, degli anni giovanili, per stravolgere la forma e trasformare le figure in astrazioni di grandi dimensioni. Con questa nuova ricerca egli sviluppa una forte relazione fra l’opera e l’ambiente, senza diventare operazione land art. la sua nuova stagione artistica viaggia su un treno ad alta velocità per conquistare nuove piazze e scoprire nuovi mondi interiori. Il suo nuovo linguaggio , ben orientato e pronto ad annunciare la bellezza della spiritualità nella scelta del colore bianco, sta già conquistando gli ambienti artistici più raffinati di Londra, Vienna, Stoccarda. La scelta del bianco è legata anche ad un altro significato? Il bianco è purezza e nella sua scultura diventa luce che attraversa nel vuoto. Infatti, in una sua recente pubblicazione nell’Enciclopedia d’Arte Italiana (2015) egli afferma che : “… la luce è un simbolo, una speranza, un’illuminazione sul mondo”.[CARMELITA BRUNETTI direttore responsabile di Magazine “Arte Contemporanea News”, , Franco Paletta, la delicatezza del bianco i l’imponenza della scultura, in “Arte contemporanea news”, Magazine, Anno X, n. 38, dicembre 2015- Gennaio 2016, pp.74, 75]

Franco Paletta

ALDO MARIA PERO

Franco Paletta , calabrese, è figlio della Magna Grecia della cui memoria artistica, in termini aggiornati, è l’erede. Senza dimenticare la sua attività pittorica, promettente ma per il momento secondaria rispetto al suo principale interesse, quella della scultura che l’artista calabrese ha saputo interpretare in termini molto originali e nella quale si possono intravedere elementi decorativi propri al pennello. Alle sue spalle, Paletta ha una lunga ricerca guidata costantemente dal desiderio di novità e di perfezionamento. Ha elaborato una forma scultorea il cui massimo pregio consiste nel fatto di possedere e cancellare al tempo stesso la materialità, tanto è vero che l’autore definisce la proprie opere “ Corpi vuoti luminosi”. Paletta affronta l’acciaio e ne avvolge le bande per conquistare nelle loro volute uno spazio che in realtà non esiste . Tale ricerca ha un interessante presupposto teorico consistente nel desiderio di far emergere intorno alle sue esili creazioni in acciaio e in plexiglas il vuoto , un vuoto che non si limita alla sua dimensione scultorea ma si estende ad una valutazione pessimistica del mondo contemporaneo contro le cui aberrazioni si è costantemente battuto con la massima energia. Le sue opere sono un esempio, mirabile, di quanto si possa ottenere con il minimo impiego di mezzi, di sagomature che in eleganti geometrie gaussiane modellano il filo o la banda, spesso colorata, che si stagliano su un vuoto cui conferiscono vibrazioni e sinuose forme di pura bellezza. Artista nella cui opera il pensiero si unisce ad una notevole manualità, la scultura più della pittura gli permette di sfruttare la terza dimensione, elemento indispensabile per conferire al suo pensiero una concretezza tattile che sottolinea e concretizza le sue meditazioni. Franco Paletta ha fortuna e sagacia nelle sue scelte, attirando sul proprio lavoro l’attenzione di buoni esegeti che hanno compreso ed approfondito con citazioni e confronti il significato teorico ed estetico delle sue opere. Tali commenti sono quasi tutti riconducibili all’attività plastica dell’artista, soprattutto sugli esiti del suo ultimo periodo creativo, che egli stesso, con felice intuizione, ha definito Astrazione Immateriale. In realtà si tratta di un arguto gioco di parole in quanto la materia esiste , ma esiste per segnalare il vuoto. Tali lavori di dividono in due categorie: le forme aperte e le forme chiuse, che portano con sé significati diversi.  Al primo gruppo appartengono le bande metalliche che si proiettano nello spazio, piene di vibrazioni dinamiche , significanti nel dominio dello spazio, spazio apparentemente vuoto, ma parte integrante della scultura, la quale se rinuncia alla terza dimensione, occupa una porzione di vuoto cui conferisce un significato. La sostanziale meta dell’astrazione consiste nell’indicare ed indagare uno spazio della coscienza, e per ciò stesso immateriale. Il lavoro di Paletta per certi aspetti coinvolge concetti d’ordine più mistico che religioso con la sua riduzione all’essenziale, con il rendere evidente l’esistenza dello spazio e di conseguenza del tempo, per la sua richiesta del silenzio di meditazione, anche se, volendo, una scultura di questo genere può inserirsi nel contesto babelico di una grande città. La forme chiuse rispondono ad altre esigenze, derivanti dal fatto che esse con il loro contorno delineano uno spazio, vuoto, senza dubbio, ma tale da indicare un suggerimento di percorso e d’interpretazione. In questo caso l’intervento dell’autore è arbitrario, ma tutta l’arte e arbitraria in quanto è assolutamente impossibile eliminare la componente soggettiva che influenza da sempre il pensiero e la mano di chi vi si dedica. Il lungo lavoro svolto da Paletta, un’operosità che trova elementi di coincidenza etica nel pensiero teologico occidentale e nelle speculazioni orientali, come ad esempio il Canone buddhista. Paletta rivolge la propria attenzione ai risultati della fisica contemporanea, si concentra sugli esiti di molteplici esperienze vissute dall’arte contemporanea, desidera acquisire nuovi domini speculativi come ad esempio le installazioni, ma ciò che dichiarano le opere di Paletta sono il merito “ad abundantiam” di una leggiadria senza tempo già propria a Benvenuto Cellini, un artista più volte citato dagli esegeti del maestro calabrese. [ALDO MARIA PERO, docente di Storia dell’Arte, presso l’Università “ Columbus” di New York, Franco Paletta in“ Variazioni su Astrattismo e Surrealismo”, Rassegna d’Arte, Santo Stefano al Mare, Imperia, 27 maggio9 giugno 2017.]

Metamorfosi nel
lavoro di Franco Paletta

JONH AUSTIN

Le sculture in plexiglass di Franco Paletta si annunciano con una gentile autorità. Al centro del lavoro di questo artista c’è il suo evidente impulso a offrire allo spettatore un’esperienza basata sulla materialità e un riferimento a una realtà trascendente da convivere all’interno di ogni brano. Il lavoro dell’artista è molto in linea con la cultura visiva contemporanea che evidenzia e celebra l’imprevedibilità attraverso le condizioni illusionistiche. Le sculture di Paletta sono avvincenti per il loro impatto emotivo contrappuntistico. L’artista usa forti opposizioni e contrasti per aumentare il livello del dramma visivo. Lo fa in parte attraverso l’interazione di materiali e in parte attraverso una puntura del suo ethos costruttivo attraverso una giocosità e un’apertura suggestive. Così, mobilità e rigidità, eros e logos, immaterialità e fondatezza coesistono in ogni opera. Ognuno di questi è manifestato nell’opera d’arte di Paletta che presenta allo spettatore un’esperienza che si riferisce sia alla qualità della forma e dei volumi, sia alle relazioni tra massa e colore. Più in particolare, l’artista suggerisce attraverso l’attento bilanciamento di codici visivi organici e non organici che lavora con materiale artificiale mentre usiamo la facoltà di proiezione per riconoscere in forme astratte cose o immagini che sono immagazzinate nella nostra mente. Una delle chiavi per apprezzare il lavoro di Paletta è vedere come si evolve attraverso intenzioni simultanee e conflittuali. Le qualità primarie della permanenza e dell’energia implicite nel regno dell’immaginario dell’artista non sono meno straordinarie del suo impegno per il regno oscuro dell’ordine. Risiede in un mondo di sintesi ed è soggetto a leggi di crescita e mutazione distintamente non nostre. Le formazioni volumetriche e gli spazi negativi si riferiscono sia al design che ai contorni degli oggetti naturali. Le configurazioni aperte emblematiche e ieratiche portano a considerazioni di entropia e distopia che potrebbero altrettanto facilmente inferire biomorfismo o un simbolo primordiale. La perversità polimorfica delicatamente confusa di Paletta è solo un’altra qualità dell’evidente gioia del lavoro dell’artista nel sedurre il nostro senso di ciò che è reale e ciò che non è attraverso il gioco spaziale abilmente evocato dall’artista. Le sue sculture affermano lo status di un’opera d’arte come un tentativo di esprimere qualcosa di unico, qualcosa che è completo e assoluto. L’oscillazione tra i due poli produce lavoro, che è un’ode alle metamorfosi e alla trasformazione.[Metamorphosesin the work of Franco Paletta, by JONH AUSTIN,Catalogo, Galleria “ Artifact” N. Y. 5 -29 luglio 2018 ]

Cromie

LUCA DEL CORE

Le due sculture, “Corpo vuoto luminoso colorato” e” Corpo vuoto luminoso trasparente” , di Franco Paletta, sono l’esito di una profonda conoscenza della storia dell’arte. Le forme eleganti e raffinate ci proiettano in un gioco di luce e ombre , esaltano la bellezza della materia che emerge con delicati cromatismi. Spazi pieni e vuoti, dinamismo e integrazione nello spazio rendono le opere dell’artista, delle vere e proprie figure organiche. Le sue sculture non sono dei manufatti puramente estetici, in essi vi è una profonda riflessione sulla interazione fra interno ed esterno. L’artista si sofferma sul concetto di “ astrazione immateriale”, partendo da una analisi della società dei consumi e dei beni materiali, in cui prevalgono i “ vuoti” politici, sociali e culturali, nega l’esistenza della materia, per giungere a qualcosa di aulico, nobile e puro , un astrattismo immateriale, in cui , come afferma Paletta: “Le mie opere sono espressione dell’interiorità e della mente, aprono alle risonanze emozionali , attraverso tre elementi fondamentali, l’individualità , la storicità e l’universalità”. Queste considerazioni sono l’esito di un lungo processo che attinge anche dalla Storia, dalla nazionalità, dalla filosofia, dall’arte antica e dalla critica sociale. In effetti, le due opere evidenziano una certa dolcezza nel modellato e una sorta di languore di prassitelica memoria, oltre a una leggiadrìa senza tempo di Benvenuto Cellini.[LUCA DEL CORE, Direttore di “ Senza Linea”, Cromie , “Spazio Martucci 56”,Napoli, in “ Senza Linea”, www. senzalinea.it 13- 29 ottobre 2018]

Corpi Cosmici, 1994/2018

FRANCO PALETTA

Corpi Cosmici, 1994/2018 La mia ultima indagine artistica mi porta nello spazio cosmico, metafora delle mie esperienze, che da oltre quarant’anni sperimento, nel  mare magnum delle sensazioni, dove nuovi mondi possibili e immaginifici mi spingono a veleggiare verso la costellazione di Orione e superare i confini dell’universo.Spesso mi capita di pensare alle mie opere: come oggetti appartenenti a una zoologia fantastica, liberi di viaggiare nel tempo e nello spazio, veicoli di libertà, uguaglianza e fratellanza. Da bambino il mondo mi sembrava, bello e sconfinato adesso è diventato piccolo e gretto. La privatizzazione della terra è stata completata, è tempo di Essere. FRANCO PALETTA

I Critici

Andreoli Carlo

Brunetti Carmelita

Di Genova Giorgio

D’Orazio Piero

Frazzetto Giuseppe

Labrosciano Gianfranco

La Porta Andrea

Pero Aldo Maria

Ragghianti Carlo Maria

Restany Pierre

Riposati Massimo

Simongini Gabriele

John Austin

Luca del Core

Paolo Levi